Prime impressioni del mio “a Londra ma …in bici”

Eccomi qui, un foglio bianco per descrivere le emozioni di un viaggio durato 31 giorni, un viaggio che mi ha tenuto in sella oltre 237 ore e mi ha fatto percorrere quasi 3000 chilometri, tagliando in due l’Europa mentre portavo orgogliosamente i simboli del volontariato, la bandiera italiana, quella siciliana e il guidone che rappresenta il mio lavoro.

Non è facile riuscire a condensare su una pagina l’esperienza incredibile che ho vissuto, un esperienza che sicuramente mi rimarrà dentro fino alla fine dei miei giorni. Da quando sono partito dalla “mia” Spadafora, scortato da alcuni amici ciclisti, ho avuto sensazioni incredibili. Ho attraversato tutto il nostro bellissimo paese incontrando centinaia di volontari, ragazzi della Misericordia, dell’Admo, del CFU, giovani e anziani uniti come Giovanni Ripa (dell’associazione Onlus Fabrizio Ripa) dalla voglia di aiutare il prossimo. Sono stato fermato da sconosciuti che volevano offrirmi da bere, incoraggiato da motociclisti che si fermavano per conoscere la mia storia, salutato da siciliani che si accorgevano della trinacria che ostentavo orgogliosamente sul retro della mia bici. A Roma sono stato accolto, come in ogni altra parte d’Italia, magnificamente dai ragazzi della Misericordia della Capitale, ho conosciuto alcuni esponenti politici e con loro ho parlato di volontariato e dell’impegno che tutti noi mettiamo nella vita. A Firenze ho conosciuto Zia Caterina (un’altra bellissima storia di volontariato) ma sono anche stato intervistato dal Corriere della sera, ho passato due giorni stupendi grazie all’accoglienza della Misericordia fiorentina, ho rivisto la donna che amo e mi sono ricaricato per la seconda parte del mio “A Londra ma…in bici”. Sono ripartito ed ho superato il Passo della Cisa sotto una pioggia torrenziale, alla fine sono arrivato ai piedi delle Alpi. Ho affrontato il Gran San Bernardo come se fosse una battaglia campale, ed ho combattuto metro per metro con una salita che mi ha portato su quella che per me, in quel momento, era la vetta del mondo (quasi 2500 metri sul livello del mare). Soddisfatto e orgoglioso di quanto avevo fatto ho affrontato il territorio di Svizzera e Francia. Sono fuggito da Losanna a causa degli altissimi prezzi delle strutture ricettive, ho pernottato in Francia in castelli e carrozze ferroviarie, in ostelli e in alberghi di paesi sperduti. Sono stato raggiunto da una notizia tragica, un collega e amico non c’era più a causa di un incidente, mi sono abbattuto ma mi sono rialzato nel ricordo di Mario, ho pedalato anche per lui perché ero certo che anche lui era contento di quanto stavo facendo. Ho percorso le ciclabili che costeggiano la Marna, mi sono commosso nelle centinaia di cimiteri di guerra che ricordano le migliaia di morti della prima guerra mondiale, giovani che hanno immolato la propria vita per qualcosa che neppure conoscevano. Giornate punteggiate da “hola amici” e “vamos” espressioni che usavo con le centinaia di amici che mi seguivano su Facebook, su Instagram, per telefono, e che sono diventate piano piano il mio “grido di battaglia”. Ho puntato su Calais ma preso dall’euforia sono entrato in autostrada, mi sono spaventato tantissimo, ma grazie all’intervento della Gendarmeria francese sono riuscito a sbrogliare anche quest’ennesima matassa. Tra raggi della ruota rotti e forature alla fine l’arrivo a Calais e l’imbarco sulla nave per Dover, di fatto è stata questa la conclusione del mio “cerchio magico”. La mia partenza era stata salutata dalla nave che mi portava da Messina a Villa San Giovanni, il mio arrivo invece da questa che mi avrebbe portato a Dover. Lo sbarco in terra inglese è stato emozionante, mi trovavo lì dove volevo essere, nel giorno in cui dovevo arrivarci, per incontrare un pezzo importante della mia famiglia. Gli ultimi chilometri sembravano non passare mai, l’A2 inglese è una strada a scorrimento veloce, i camionisti (soprattutto dell’est Europa) mi hanno fatto il pelo, ma ormai niente e nessuno poteva fermarmi. E alla fine Canterbury, l’incontro con mio figlio, una birra per festeggiare e via alla volta di Londra. Alcuni giorni girando, sempre in bici, per la capitale inglese metabolizzando la soddisfazione e l’orgoglio di essere riuscito in un impresa non facilmente ripetibile, un’impresa che ho cercato di racchiudere in queste poche righe ma che forse… merita un libro intero. E alla fine anche l’incontro con il console generale Marco Villani, massima espressione dello stato italiano in Inghilterra, io italiano ricevuto a Londra in terra italiana, non nascondo di aver avuto una certa commozione quando ho donato la locandina del mio evento, ai piedi di quel tricolore che rappresenta la nostra italianità nel mondo. E poi un finale bellissimo, una grande festa a casa mia, con gli amici e con i parenti, una festa organizzata da mia moglie e preparata nei più piccoli particolari, una festa che mi ha reso orgoglioso di quello che ho fatto e in cui come se non bastasse c’erano dei dolci buonissimi.

Cosa mi è rimasto di tutto ciò? Oltre l’orgoglio di essere riuscito nell’impresa che mi ero prefissato mi è rimasta la consapevolezza che l’Italia è un paese bellissimo, che in giro ci sono migliaia di volontari che donano il loro bene più prezioso (il tempo) per chi sta peggio di loro, che la bicicletta ti permette di godere appieno di un viaggio (essendo tu stesso parte integrante del viaggio), e che senza la mia famiglia, i miei amici e tutti coloro che mi hanno sostenuto forse non sarei riuscito a fare tutto ciò, persone che alla fine di queste poche righe voglio ringraziare con tutto me stesso

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